Si è concluso la Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite, forse una tra le più discusse e seguite degli ultimi anni. Eppure è stata la prima che ha portato a casa un risultato finora mai ottenuto con la ratifica per consenso del Global Stocktake. Il documento prodotto, cioè, ha formalizzato la responsabilità di tutti i combustibili fossili nel cambiamento climatico.
Tutti i combustibili fossili, quindi petrolio, gas e carbone, sono considerati ufficialmente i responsabili dell’inquinamento che causa le alterazioni climatiche a cui stiamo assistendo oggi.
L’accordo verso l’addio all’uso di combustibili fossili
Per la prima volta nella storia delle Conferenze delle Nazioni Unite sul clima, Cop28 che si è tenuta a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, dal 20 novembre al 13 dicembre, ha sancito che i combustibili fossili sono la causa principale del cambiamento climatico e che vanno progressivamente abbandonati.
La risoluzione, o Global Stocktake, è stata adottata per consenso da tutti i rappresentanti dei 198 Paesi che sono intervenuti durante questi intensi giorni di dibattito.
Un lungo scroscio di applausi e una standing ovation hanno sottolineato la carica emotiva e l’importanza dell’evento di portata epocale che segna un cambiamento strategico di rotta per tutte le economie mondiali.
#COP28
— Italian Climate Network (@ItalianClimate) December 13, 2023
È stato ufficialmente approvato il testo sul Global Stocktake: l'uscita dai combustibili fossili viene menzionata nel testo di una decisione COP per la prima volta.
Ovazione in sala.
Al Jaber: "un risultato storico". pic.twitter.com/qd4UOvxf7m
L’accordo così raggiunto propone una “transizione” dall’uso dei combustibili fossili come fonte energetica, verso sorgenti alternative.
Quello che molti hanno definito “storico” è un accordo frutto di lunghe e difficili trattative e negoziati e che determinerà un radicale cambio di rotta nel modello produttivo su vasta scala.
È difficile ma non impossibile prevedere come questi cambiamenti impatteranno sulle aziende e i loro modelli economici, in base a fattori come l’importanza della loro impronta ecologica e la capacità di adattarsi con maggiore o minore flessibilità alle mutate condizioni di produzione.
Il presidente della Cop28, Sultan al Jaber ha commentato il risultato ottenuto salutandolo come “un accordo storico che accelera l’azione dei governi sul clima”, Wopke Hoekstra, ha definito l’esito della risoluzione finale capace di “essere l’inizio della fine dei combustibili fossili”.
Le aziende rispondono alla sfida verso la transizione dai combustibili fossili
Il testo richiede “una transizione dai combustibili fossili che sia giusta, ordinata ed equa, accelerando l’azione in questo decennio cruciale, in modo da raggiungere la neutralità carbonica nel 2050, in linea con le raccomandazioni della scienza”.
In questa definizione c’è una sottigliezza linguistica che è risultata strategica per ottenere il consenso degli storici oppositori all’abbandono delle fonti non rinnovabili, e cioè i rappresentanti dei paesi dell’Opec. L’economia dei paesi che appartengono all’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) si struttura per forza di cose sull’esportazione della materia prima combustibile.
La scelta di adoperare il termine “transizione”, nel testo originale “transition away”, al posto della tanto auspicata “eliminazione”, o “phase-out” ha dato così l’impressione di ottenere tempo necessario per una transizione economica che in questi paesi è più faticosa. Oppure, secondo gli ambientalisti, ha gettato fumo negli occhi senza imporre una misura non soggetta a interpretazioni.
Non a caso, meno entusiasti sono stati i membri dell’Alleanza dei piccoli stati insulari (Aosis), cioè le comunità che prima di altri soffriranno gli effetti del cambiamento climatico e dell’innalzamento dei mari se non si adotteranno rapide e radicali contromisure.
Ora il vero nodo della questione è in che modo le aziende si preparano a rispettare l’obiettivo di emissioni zero nel 2050. Per arginare gli effetti dell’innalzamento della temperatura del pianeta, serve concentrare gli sforzi per non superare 1,5°C come sancito dall’accordo di Parigi nel 2016.
La transizione energetica passa dall’invito a triplicare le capacità di generare energia rinnovabile e a raddoppiare il ritmo dei miglioramenti dell’efficienza energetica entro il 2030.
Strategia di investimento per favorire la salvaguardia del pianeta
Le imprese che riusciranno ad adattarsi a questa rivoluzione saranno anche quelle che guideranno il sistema produttivo nelle prossime decadi.
Lo evidenzia il Kunal Kapoor, CEO di Morningstar la rivista di riferimento per seguire l’andamento dei mercati globali.
La sfida del climate change rappresenta l’occasione per ridefinire i canoni della produttività su scala globale affinché risultino sostenibili e capaci di generare vero benessere per tutti.
Morningstar ha condotto un’analisi valutando lo stato di oltre 6.500 aziende. Dai dati emerge che il 90% delle maggiori aziende quotate in borsa sono distanti dal poter raggiungere l’obiettivo finale. Ma, considerando la transizione come un processo verso il progressivo miglioramento, gli investitori piccoli o grandi possono adoperare la loro scelta come strategia per incentivare il cambiamento positivo e innescare buone pratiche investendo in fondi ESG.
Nella scelta della composizione del pacchetto di investimenti assumono oggi valore nuovi parametri. In primo luogo pesano gli interventi di decarbonizzazione, sempre più accessibili per l’investitore e il consumatore, che mostrano le iniziative effettuate per ridurre l’impronta energetica.
Diversificare il portafoglio di investimento significa anche includere quelle compagnie che meno soffriranno per adattarsi ai nuovi parametri in linea con i comandamenti della transizione climatica. Queste imprese potrebbero godere di un accesso privilegiato ai capitali, alle polizze assicurative più vantaggiose rispetto alle controparti che soffrono di maggiore rischio.
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