Numerosi gruppi ambientalisti, tra cui Greenpeace e organizzazioni di attivisti, locali hanno deciso di formare un consorzio per evidenziare l’impatto ambientale di Bitcoin. Infatti, è risaputo che il mining della regina delle criptovalute richiede un’enorme quantità di energia elettrica, che spesso viene prodotta con metodi inquinanti.
L’iniziativa è chiamata “Change the Code, Not the Climate” e gli annunci del consorzio saranno pubblicati su testate come New York Times, Politico e The Wall Street Journal.
L’obiettivo? Persuadere la comunità di Bitcoin a modificare il codice esistente per passare da un algoritmo di consenso “Proof of Work” a un meccanismo “Proof of Stake” che necessita del 99% di energia in meno. Vediamo nel dettaglio come potrebbe diventare realtà questo passaggio.
Se si avverasse, significherebbe la fine di un protocollo sicuro, inattaccabile e veramente alternativo al denaro centralizzato. Invece, a guardare la valutazione e le previsioni Bitcoin notiamo la grande fiducia di tanti che investono e credono in questa criptovaluta.
Da PoW a PoS: cosa cambia?
Secondo quanto riferito dal Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, la rete Bitcoin utilizza circa 130 terawatt/ora all’anno, una quantità di elettricità simile a quella utilizzata da Norvegia e Ucraina. Da qui a 5 anni, Bitcoin potrebbe consumare tanta energia quanto il Giappone.
Anche Ethereum, la seconda criptovalute per capitalizzazione di mercato, si affida al PoW ma è nel mezzo del passaggio al PoS, che potrebbe contribuire ad una riduzione del 99,95% del consumo totale di energia.
Bitcoin potrebbe essere davvero il prossimo progetto ad abbracciare un simile cambiamento? I dubbi non mancano e i fanatici di questo token, per adesso, non ne vogliono sapere. Di sicuro la discesa in campo di un’organizzazione così importante come Greenpeace farà clamore.
Cosa dice Larsen?
Larsen, co-fondatore di Ripple, afferma che se la criptovaluta più importante del mondo dovesse passare da PoW a PoS, potrebbe finalmente risolvere i presunti problemi di energia derivanti dalla produzione di criptovalute.
In questo contesto, è importante sottolineare che alcuni dei protocolli più recenti come Solana e Cardano sono basati sul basso consumo energetico. Larsen ha anche negato che la campagna “Change the Code, Not the Climate” sia contro Bitcoin.
Infatti, essendo Ripple uno dei concorrenti di Bitcoin, Larsen afferma che: “se fossi realmente preoccupato per Bitcoin, probabilmente la cosa migliore che potevo fare è lasciare che continuasse su questa strada. Si tratta solamente di un percorso insostenibile”.
La decisione da parte di Larsen di finanziare la campagna è da rintracciare nella sua sensazione che gli investitori potrebbero allontanarsi da Bitcoin a meno che non ci sia un repentino cambiamento. Il co-fondatore di Ripple ha sottolineato che tifa per entrambi i progetti: Ethereum e Bitcoin. La campagna avrà successo?
È innegabile che l’impatto ambientale della rete di Bitcoin è uno dei dibattiti più discussi negli ultimi anni. Tuttavia, è importante sottolineare che la community di miner e sviluppatori ha attualmente rifiutato qualsiasi tipo di modifica al progetto di Satoshi Nakamoto.
Ma invece che pensare al consumo energetico, non ci si dovrebbe preoccupare al modo in cui questa energia viene prodotta? Dire che Bitcoin inquina è chiaramente una forzatura, dato che si tratta di un bene digitale, piuttosto ci si dovrebbe preoccupare degli sprechi energetici o dell’aumento delle spese militari, visti gli elevati aumenti di emissioni tossiche derivati dalla produzione e dall’utilizzo di mezzi e armamenti.
In questo caso, però, si andrebbero a intaccare gli interessi di una delle più potenti lobby industriali al mondo e, forse, Greenpeace non può permetterselo.
La scusa dell’impatto ambientale sarà la motivazione valida affinché alcune crypto come Bitcoin cambino orientamento? Difficile a dirlo in questi tempi, soprattutto quando molte nazioni, tra cui Italia, Cina e Germania tornano ad accendere le centrali a carbone per sopperire alle mancanze conseguenti la decisione di imporre sanzioni alla Russia. Con tanti saluti ad un approccio sempre più green.
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