L’epilogo giudiziario di uno dei casi più eclatanti nel settore delle criptovalute conferma una volta di più la vulnerabilità del comparto quando la fiducia viene tradita. Il fondatore della piattaforma di investimenti in criptovalute Celsius è stato condannato a dodici anni di reclusione con l’accusa di frode e manipolazione del mercato.
Le indagini hanno messo in luce un sistema opaco e disfunzionale. Qui, la narrazione di un’alternativa sicura e redditizia al sistema bancario tradizionale ha finito per mascherare pratiche finanziarie scorrette e, in alcuni casi, penalmente rilevanti.
Il collasso di Celsius ha segnato uno spartiacque nel settore, avvenuto in un contesto più ampio di instabilità crypto a seguito del crollo del token TerraLuna. La bancarotta ha lasciato un solco profondo tra milioni di clienti e investitori, che si erano affidati a una struttura che prometteva trasparenza, rendimenti elevati e accesso facilitato al credito in valute digitali.
Un’ascesa travolgente seguita da un crollo verticale
La parabola di Celsius ha seguito un percorso ormai familiare nel settore crypto: crescita rapida, retorica disruptive, espansione esponenziale e improvviso collasso.
Nata nel 2017, la piattaforma si era proposta come punto di incontro tra innovazione tecnologica e finanza partecipativa. Fin da subito, ha attirato un vasto numero di utenti grazie all’offerta di rendimenti elevati su depositi in criptovalute.
L’interesse annuo promesso, che poteva arrivare fino al 17% su asset come Bitcoin ed Ethereum, superava di gran lunga gli standard bancari, contribuendo alla diffusione del servizio presso un pubblico eterogeneo. Anche i prestiti garantiti, concessi a chi offriva criptovalute come collaterale, hanno contribuito a consolidare il modello operativo.
Nel 2021, Celsius gestiva oltre 25 miliardi di dollari in asset digitali, con più di un milione di clienti attivi. Tuttavia, la solidità apparente era in realtà costruita su basi fragili. Il crollo del sistema TerraLuna nel maggio 2022 ha innescato una reazione a catena, culminata nella sospensione dei prelievi e nella dichiarazione di fallimento nel luglio dello stesso anno.
Le dimissioni del CEO sono arrivate solo a seguito del tracollo, mentre la piattaforma veniva gradualmente smantellata. Il colpo finale è giunto nel febbraio 2024, con l’uscita definitiva di Celsius da internet.
Nel frattempo, il procedimento penale ha fatto il suo corso. L’arresto avvenuto nell’estate del 2023 ha aperto la strada a una condanna che testimonia il peso delle responsabilità assunte da chi ha gestito fondi pubblici in modo scorretto.
Accanto alla sentenza penale si profilano anche iniziative civili da parte di diversi enti regolatori. Da parte loro, gli enti hanno già avviato cause legali per pratiche scorrette e violazioni delle normative vigenti.
Opacità, conflitti di interesse e una narrazione costruita ad arte
Dietro l’apparente innovazione si celava un sistema afflitto da conflitti di interesse e gravi mancanze in termini di trasparenza. Una delle rivelazioni più significative emerse durante l’istruttoria riguarda la vendita di token CEL da parte del fondatore nel settembre 2019. Il totale, in questo caso, ammontava a circa 48 milioni di dollari.
L’operazione è avvenuta nonostante fossero state fatte rassicurazioni pubbliche in senso opposto, alimentando dubbi sulla correttezza dell’intera gestione. L’impatto finanziario è stato devastante: le perdite totali stimate per gli investitori hanno toccato i sette miliardi di dollari.
Tuttavia, secondo fonti ufficiali, circa il 93% dei fondi dei clienti è stato finora restituito, anche grazie al recupero e alla liquidazione di asset ancora presenti nei bilanci residui.
La narrazione di una piattaforma crypto “più sicura delle banche” ha fatto breccia in un’utenza desiderosa di emanciparsi dalla finanza tradizionale, ma i fatti emersi durante la procedura fallimentare hanno raccontato una realtà ben diversa.
Gli investimenti effettuati erano spesso ad alto rischio, nonostante le affermazioni di gestione prudente. Alcuni fondi sono stati destinati a operazioni su piattaforme anch’esse crollate, come nel caso di FTX, aggravando ulteriormente la situazione.
La mancanza di rendicontazioni finanziarie affidabili ha reso impossibile, per lungo tempo, valutare in modo oggettivo la salute dell’azienda. Solo attraverso il processo di bancarotta sono emersi i dati reali sulla portata delle perdite e sulle pratiche operative scorrette.
I dirigenti hanno operato per anni in un contesto privo di supervisione rigorosa, facendo leva sull’asimmetria informativa per mantenere un’immagine positiva dell’azienda. La giustizia ha infine riconosciuto l’inganno, punendo con fermezza i responsabili.
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