
L’inasprimento delle politiche commerciali statunitensi ha avuto un impatto immediato e dirompente sui mercati finanziari globali, con effetti particolarmente severi registrati nelle piazze asiatiche. L’annuncio da parte del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di un’estensione significativa del regime dei dazi ha scatenato una reazione a catena che ha coinvolto indici di borsa, titoli bancari e asset digitali.
Il nuovo pacchetto tariffario include una tassa universale a partire dal 10% e fino al 50% in alcuni casi. Ad oggi, i provvedimenti si stima entreranno in vigore il 9 aprile 2025. L’economia giapponese, fortemente orientata all’export e legata a doppio filo al settore automobilistico, è risultata particolarmente vulnerabile.
Il crollo degli indici di Tokyo, guidato dal settore bancario, è divenuto un simbolo della fragilità sistemica che le tensioni commerciali possono generare. Parallelamente, le criptovalute, che inizialmente avevano beneficiato di un rinnovato entusiasmo post-elettorale, sono tornate bruscamente a una fase ribassista, perdendo capitalizzazione e annullando quasi completamente i guadagni di inizio novembre.
Tokyo guida il tracollo mentre i dazi affondano i mercati asiatici
L’introduzione dei nuovi dazi doganali annunciata da Washington ha travolto i mercati asiatici, con la Borsa di Tokyo in prima linea nella spirale discendente. L’indice Nikkei 225 ha registrato un crollo del 9%, scendendo a 30.629,50 punti, toccando così il livello più basso dall’inizio di novembre 2023.
Il calo, è solo un riflesso parziale di una settimana nera per la piazza finanziaria nipponica. Su base settimanale, il Nikkei ha visto il proprio indice perdere oltre il 9% rispetto alla chiusura precedente. Ancora più ampia la flessione dell’indice TOPIX, che ha ceduto oltre l’8% nella sola giornata di lunedì, confermando l’ampiezza e la profondità della correzione in corso.
Il settore bancario, anche nel resto del mondo è risultato tra i più colpiti. Le banche sono trascinate a ribasso da un mix di incertezza macroeconomica e timori legati alla tenuta degli attivi in portafoglio. Japan Post Bank Co Ltd ha lasciato sul terreno oltre l’11%, mentre Mitsubishi UFJ Financial ha ceduto il 13%.
Perdite consistenti anche per altre azioni asiatiche con Sumitomo Mitsui Financial, in calo del 12%, e Mizuho Financial Group, scivolata di oltre il 10%. La vulnerabilità del sistema bancario giapponese alle turbolenze commerciali si è manifestata con chiarezza, sollevando interrogativi sulla solidità della ripresa economica asiatica.
Le misure annunciate da Donald Trump il 2 aprile, con la previsione di un dazio generalizzato del 10% su tutte le importazioni e l’imposizione di tariffe del 25% su automobili e componenti, mirano a ridefinire gli equilibri del commercio globale. Tuttavia, la reazione immediata dei mercati suggerisce che gli effetti a breve termine potrebbero essere controproducenti. Il risultato, almeno per ora, è di star minando la fiducia degli investitori e penalizzando le economie maggiormente dipendenti dalle esportazioni.
Il Giappone, in questo contesto, rappresenta l’emblema della fragilità sistemica di un modello produttivo che poggia sulle vendite internazionali, in particolare nei comparti automotive, tecnologico e industriale. La scossa proveniente da Tokyo rischia ora di propagarsi anche ad altri mercati asiatici, mentre gli operatori attendono ulteriori sviluppi sul fronte delle relazioni commerciali tra Stati Uniti e partner internazionali.
Criptovalute in retromarcia: annullati i guadagni post-elettorali
Anche il mercato delle criptovalute ha subito un contraccolpo significativo in seguito alla nuova ondata di dazi commerciali annunciata dagli Stati Uniti. La capitalizzazione totale del comparto digitale è scesa di circa il 10%, assestandosi a 2,54 trilioni di dollari.
Un calo che segna una brusca inversione rispetto all’ottimismo registrato dopo la vittoria elettorale di Donald Trump all’inizio di novembre. Post-elezione si era infatti aperto un periodo in cui le migliori criptovalute avevano messo a segno progressi consistenti, sostenuti dalla prospettiva di un’amministrazione più indulgente nei confronti della regolamentazione finanziaria.
Bitcoin, considerato barometro dell’intero settore crypto, ha perso oltre il 7% nella sessione notturna londinese, toccando un minimo di 77.000 dollari. Al momento, la criptovaluta si attesta a 76.800 dollari, in calo del 2,5%, confermando un trend ribassista che si è intensificato nelle ultime ore. Anche Ethereum ha registrato un forte arretramento, toccando un minimo intraday di 1.521 dollari (un livello che non si osservava dall’ottobre 2023) per poi stabilizzarsi a 1.543 dollari, con una perdita del 1,95%.
Il ripiegamento delle criptovalute sembra essere attribuibile a un repentino cambio di sentiment tra gli investitori, spaventati dalle possibili ricadute macroeconomiche delle politiche protezionistiche statunitensi. L’instabilità globale ha rafforzato il dollaro, esercitando una pressione ulteriore sugli asset alternativi e sulla propensione al rischio.
L’annullamento quasi totale dei guadagni ottenuti in seguito all’esito elettorale evidenzia quanto fragile sia ancora la fiducia nei mercati crypto, nonostante la crescente adozione istituzionale e l’interesse degli operatori tradizionali.
A questo scenario si aggiunge l’incertezza legata all’evoluzione del quadro regolatorio, con l’attesa per il rinnovo della dirigenza alla SEC che potrebbe, in prospettiva, ridefinire il rapporto tra autorità di vigilanza e innovazione finanziaria.
Tuttavia, nel breve termine, l’effetto domino delle tensioni commerciali e la pressione al ribasso sugli asset digitali lasciano presagire ulteriori fasi di volatilità. La correlazione crescente tra mercati tradizionali e criptovalute si è manifestata in tutta la sua evidenza, confermando che anche gli asset digitali non sono immuni dalle dinamiche macroeconomiche globali.
Domande e Risposte (0)